Non è l'ennesimo blog su Jane Austen... almeno non solo. E' uno spazio in cui si parla di libri, sopratutto di libri d'amore. Regency romance, ma anche chick lit e mummy lit per usare le più recenti definizioni sul genere. Caratteristiche fondamentali: happy end e sottile ironia. Capito il genere? Piace anche a voi? E allora, forza, alzi la mano chi di voi non ha, almeno per una volta sognato Pemberley. (Vai al primo post...)

mercoledì 30 dicembre 2009

Buon Anno!

So di ripetermi, ma ormai dalla prima volta che ho scritto gli auguri di buon anno su questo blog (31 dicembre 2007), non riesco a formularli in modo diverso. Per cui ancora una volta auguro
Buon anno all'insegna dei sogni realizzati a tutti quanti.
A chi ha già il suo lieto fine, a chi ancora lo sta aspettando, a chi ne vive tanti quotidianamente, ma non sempre se ne accorge. Perchè in fondo un lieto fine è un fermo immagine. Dipende solo dal momento in cui decidi di fermare la storia.

domenica 13 dicembre 2009

Baffi di cacao


Il titolo è assolutamente Pemberlyano, ma le vicende dei protagonisti del romanzo di Lina Dettori sono troppo dolorose perchè questo possa a pieno titolo essere recensito nel blog. Se ho deciso di dedicargli comunque un post è per un motivo semplice ma molto importante: questo libro mi ha riconciliato con la letteratura sarda. E l'assoluta disaffezione agli autori sardi (con qualche rara eccezione) ad una sarda dal cuore prenuragico come la sottoscritta ha sempre creato seri problemi di coscienza. Maggiori di quelli che mi crea il fatto di preferire a culurgiones, porchetto e dolci di mandorle, fajitas de legumbres, tortillas e crema catalana (cosa che mi costringe a periodici riti purificatori e riconciliatori a base di fregola con arselle e sebadas).
E la riconciliazione è stata così profonda che se solo le vicende narrate fossero state un po' meno dolorose avrei potuto iniziare questo post con le parole "Ecco il libro che avrei voluto scrivere io". Una storia che è si radicata nell'ambiente nella quale si dipana, ma nella quale la caratterizzazione di ambienti e personaggi non è mai eccessiva e le concessioni al facile folklore sono del tutto assenti, cosa che non può dirsi di altri autori sardi contemporanei.
C'è poi lo stile. Ridondante e ricercato, ma mai eccessivo, ora ironico e leggero, ora più intenso e commovente, soprattutto quando l'autrice apre la narrazione a "sviluppi impensati con veri e propri colpi d’ala sospesi tra il surreale e il fantastico, capaci in qualche caso di sfiorare il lirismo". E infine, sebbene il libro possa certo essere definito un off topic in un blog sull'happy ending, ti strappa più di una lacrima ma non ti lascia l'architrave di un nuraghe sul cuore. E per ora questo può bastare. Certo, se la signora Dettori volesse magari il prossimo libro...



sabato 19 settembre 2009

La soavissima discordia dell'amore


Chiariamo subito una cosa: a me leggere un libro di Stefania Bertola procura un senso di benessere fisico, oltrechè psicologico, benessere capace di durare ben oltre la fine del libro. E questo vale anche per La soavissima discordia dell'amore... e il fatto che come trama mi sia piaciuto forse un pochino meno degli altri e che avrei preferito forse un finale diverso per almeno tre su quattro delle protagoniste, ha veramente un'importanza relativa. Quello che mi è mancato nell'intreccio l'ho infatti recuperato con gli interessi nella descrizione di situazioni e personaggi, per non parlare del fatto che, se fosse scritto col linguaggio e lo stile della Bertola, leggerei con piacere anche l'opuscolo pubblicitario di una finanziaria o qualsiasi altra cosa illeggibile vi possa venire in mente.
Se è vero che "Bisogna avere il caos dentro di se per generare una stella danzante" (F. Nietzsche), allora le protagoniste della Bertola potrebbero generare galassie intere di stelle danzanti, anche se dubito che il caos che hanno dentro possa essere inteso in senso nietzscheianio (ma piuttosto Pemberlyano!). Sono a volte troppo complicate a volte troppo poco, così poco da essere del tutto prive di subconscio e avere solo dei rudimenti di sistema nervoso, così lineari e poco complicate da essere assolutamente e snervantemente impermeabili al contraddittorio e diventare quindi "ad alto mantenimento" (ricordate Sally in Harry ti presento Sally?) esattamente come le amiche più complicate. Vivono spesso situazioni al limite del surreale, eppure ci sembra di poter dare loro appuntamento per un te, perché in fondo abbiamo la precisa sensazione che in quel gruppo ci staremo benissimo anche noi. Più complicato sarebbe forse trovare una collocazione insieme a tre delle protagoniste nel Tesk (Teatro Elettrico sul Pianeta Crypton), la compagnia di attori dilettanti che si prepara a mettere in scena uno spettacolo di avanguardia spinta “Shakespeare in cucina”, sotto la guida di un irascibile regista calabrese. Ma sarebbe comunque oltremodo divertente assistere alle prove, insieme alla terza protagonista e altri bizzarri personaggi, quali uno psicopata mezzo calmucco, un marchettaro pentito (che finirà col recitare nello spettacolo), una fidanzata ex agente dei nas con aspirazioni aristocratiche ma senso estetico tendente al grottesco. Intorno al Tesk fioriranno, ça va sans dire, nuovi amori rigorosamente a lieto fine, ma davvero questa volta c'è molto di più. Per esempio una grande quantità di citazioni shakespeariane disseminate per tutto il libro, alla faccia di chi pensa ancora che un romanzo leggero non possa essere “un buon libro”. Ma io vi assicuro e “non traggo il mio giudizio dalle stelle” (Shakespeare è così, ti prende la mano...), che questo lo è.

martedì 8 settembre 2009

Caffè Babilonia


Il titolo originale, Pomegranade Soup, Zuppa di Melagrana, il frutto della speranza per i persiani, è denso di significati che nella "traduzione" vanno persi, ma delle discutibili scelte editoriali di certi editori italiani e della loro tendenza all'appiattimento dei titoli credo di aver parlato altrove. Io però quel titolo l'avrei mantenuto per diversi motivi. Perchè sa di buono come molte delle ricette e delle persone descritte nel libro. Perchè è un libro che ti fa credere che ci sia la possibilità di un nuovo inizio anche per chi ha vissuto delle esperienze terribili. Perchè da una di quelle esperienze terribili le protagoniste riescono a salvarsi proprio grazie alla zuppa di melagrana, non più solo simbolo di speranza ma arma per conquistarla: è infatti rovesciando la zuppa addosso al cognato Hossein che Marjan riesce a salvare la sorella Bahar dalla ferocia del marito. Ed è infine la zuppa di melagrana che bolle sui fornelli quando Thomas McGuire, deciso ad impedire alle sorelle Aminpour di conquistare la loro meritata serenità, entra nel Caffè Babilonia armato di cattive intenzioni, che per fortuna gli si rivolteranno contro assicurando alle protagoniste il loro meritato lieto fine. Le protagoniste sono tre sorelle persiane che si trasferiscono in un paesino dell'Irlanda occidentale dove aprono un caffè etnico, il Caffè Babilonia, e si trovano ad affrontare quei conflitti razziali e culturali che purtroppo oggi conosciamo bene e che nel libro vengono trattati con humor e delicatezza.
E a conferma del fatto che si tratta di un libro veramente pemberlyano e non di un ennesimo off topic, c'è la tenerissima storia d'amore tra la minore delle sorelle Amimpour e il figlio del boss del villaggio, che, nonostante la giovanissima età, totalizza un punteggio molto alto nella scala darcyana di valutazione.
Sullo sfondo l'atmosfera di un piccolo villaggio irlandese contaminata dai sapori e dai colori della Persia che le tre sorelle protagoniste portano con loro. E sullo sfondo più lontano si intravvede la drammatica situazione dell'Iran all'epoca del regime khomeinista: sono immagini rapide, ma assolutamente efficaci e crude che risaltano ancora di più per essere incastonate in una storia che per il resto ha toni teneri e lievi. Come la speranza.

giovedì 20 agosto 2009

Prossimamente (speriamo presto?) ...

No potevo crederci: IO lo stavo catalogando, ma un'altra persona lo avrebbe avuto in prestito (e quindi letto) prima di me. C'era già una prenotazione che non potevo assolutamente scavalcare. Di aspettare un mese non se ne parlava nemmeno, per cui il pomeriggio stesso sono volata da Feltrinelli, ma le tre copie del libro che il computer dava disponibili sono risultate introvabili. In un'altra libreria lo avevano terminato e sarebbe arrivato nuovamente a settembre. Per cui ancora il tanto atteso nuovo libro di Stefania Bertola, La soavissima discordia dell'amore non è tra le mie mani. E io vivo quello stato di soavissima discordia dell'anima, che da un lato anela ad averlo subito, dall'altro vorrebbe ritardare il momento, perchè averlo significa leggerlo e quindi finirlo e quindi averlo già letto e invidiare chi ancora deve leggerlo e deve vivere ancora quei momenti di "leggerezza cosmica" che i libri di Stefania Bertola ti sanno regalare. Spero comunque di non dover aspettare troppo. A presto per la recensione dunque.
P.S.
Gli ultimi due libri letti, a parte Montalbano sono stati Lezioni di volo per sonnambuli di Sion Scott-Wilson e Ogni cosa è illuminata di Jonathan Safran Foer: interessanti (almeno il secondo), ma decisamente off topic. Nessuna recensione dunque.

martedì 4 agosto 2009

La danza del Gabbiano


Mi duole ammetterlo, ma quando l'ultimo Montalbano è arrivato in libreria non ero, come tutte le altre volte dopo i primi due romanzi della serie, accampata fuori dalla porta ad aspettarlo (ovviamente si fa per dire... ma vi assicuro che non mi sto discostando troppo dalla realtà). Questa volta però ho saputo dell'uscita di La danza del gabbiano solo dopo che alcuni amici l'avevano letto, e solo dopo che le colleghe della biblioteca lo avevano già inserito nell'elenco degli acquisti. Come ciò sia potuto succedere rimane davvero un mistero, perchè anche se non riesco a leggere molto, cerco comunque di essere informata su quanto viene scritto, ma tant'è... questo libro mi si era proprio ammucciato, per dirla con le parole del commissario.
Ovviamente, dal momento in cui ho avuto la notizia, ho fatto di tutto per recuperare il tempo perso, accattandomi il libro (anzi no, non ce n'è stato bisogno di comprarlo perché la mattina stessa è arrivato in biblioteca!) e leggendolo quasi d'un fiato, nonostante la grande stanchezza e il pochissimo tempo a disposizione.
A questo punto dovrebbe seguire la recensione, ma come ben sanno i pochi affezionati lettori del mio blog, Montalbano non si recensisce, si legge e si ama, punto.
Nessuna recensione dunque, ma solo qualche nota al volo. La prima riguarda la discussione fra Montalbano e Augello (il procreatore pentito) sull'omosessualità... credo possa valere più di molti manifesti contro l'omofobia. E che dire del Montalbano televisivo che fa capolino tra le pagine del libro? Geniale. E Livia? Il commissario si dimentica di lei ancora una volta... e almeno questa volta ha una buona scusa... il fatto è che ce la dimentichiamo quasi pure noi! E magari questa volta saremmo riusciti a liberarci definitivamente di lei, se non fosse stato per l'intempestivo intervento di Catarella. Che ne dice, maestro, vogliamo darla una sistematina alla vita sentimentale del commissario? Si potrebbe per esempio far ricomparire Anna (La voce del violino, Tocco d'artista) che, mi pare di ricordare, a Salvo gli faceva sangue assai. Si potrebbe mandare Livia a fare il giro del mondo in barca col cugino e farla innamorare follemente di un albergatore panamense ... Scherzo, ovviamente, ma solo un pochino.

martedì 19 maggio 2009

Esco presto la mattina


Quando ho accettato la proposta di alcuni amici di creare un gruppo di lettura su facebook ero in realtà un po' dubbiosa all'idea di dedicare parte del poco tempo che ho per leggere a libri scelti da altri. Ma appena ho visto il primo libro che era stato proposto ho messo da parte quasi tutti i miei dubbi: mi sembrava proprio un libro che avrei potuto scegliere anche io e pergiunta adatto ad essere recensito sul blog. Vedevo in questo Cacciapuoti una sorta di Mike Gayle italiano o anche meglio e credevo/speravo di ripetere l'esperienza di Non avevo capito niente di Diego Da Silva. Ho quindi pagato senza troppe recriminazioni i 18,00 euro del prezzo e mi sono tuffata nel libro non senza aver dato la solita sbirciatina all'ultima pagina che sembrava confermare le mie previsioni. Mi sono bastate pochissime pagine per capire che in quel libro non avrei trovato niente di quello che mi ero aspettata: niente personaggi interessanti, nessuna storia godibile e anche l'happy ending è assolutamente tirato per i capelli, affidato com'è al fatto che il figlio del protagonista decida di venire al mondo in anticipo sulla data presunta del parto. Una "godibile satira" viene definito nella quarta di copertina, ma descrivere un regista demente non vuol dire fare satira sul cinema. E lo stesso dicasi per la descrizione di certi ambienti politici. Ma forse l'ho letto con occhio troppo Pemberlyano e certe cose a noi Pemberlyane proprio non vanno giù...

venerdì 10 aprile 2009

Amore in minuscolo


Se l'avessi soltanto visto negli scaffali delle librerie e/o biblioteche probabilmente non avrei mai deciso di leggere L'ombra del vento di Carlos Ruiz Zafòn. Nemmeno se ne avessi letto prima le recensioni entusiaste che ho letto dopo aver finito il libro. Decisi di leggerlo, acquistandone un'edizione non economica perchè non avevo la pazienza di aspettare il mio turno in biblioteca, perchè diverse persone che mi conoscevano abbastanza bene si dicevano certe che fosse un libro per me. A distanza di anni questa affermazione mi lascia ancora perplessa. Il libro mi è piaciuto davvero. Una storia originale, assolutamente ben scritta. Forse doveva "piacermi assolutamente" perchè è un libro che parla di libri. Ma in che modo un romanzo gotico che a tratti richiama il fuilleton, pieno di infanzie difficili, amori fatali e famiglie distrutte possa essere "proprio il libro per te" davvero me lo devono spiegare. Ma forse il libro doveva passare attraverso me per giungere ad altri, visto che dopo averlo letto l'ho passato ad alcuni amici che ancora mi ringraziano. Nessuno mi ha consigliato invece di leggere Amore in minuscolo di Francesc Miralles, ma se mi avessero detto che è un libro "per me" non avrebbero sbagliato di molto. L'autore è sempre spagnolo e anche questo libro parla di libri, di personaggi misteriosi e di incontri fatali (nel senso, questa volta, di "voluti dal fato"). Ma le similitudini finiscono qui. L'ombra del vento sta infatti a Amore in minuscolo come una cattedrale gotica sta a una chiesetta di campagna. Perchè il libro di Francesc de Mirelles è un libro "in minuscolo", che parla di piccoli gesti che scatenano conseguenze imprevedibili, di incredibili "coincidenze", della magia del quotidiano. Il protagonista è Samuel, solitario professore trentenne con la passione per le citazioni letterarie e per i termini intraducibili, e con il cuore segnato da un bacio a farfalla che ricevette da bambino sotto una scala.
Un piccolo gesto di amore in minuscolo come dare un piattino di latte a un gatto randagio avrà per Samuel una serie di conseguenze che lo porteranno a stringere insolite amicizie e a ritrovare la magia di una bacio a farfalla. E se a questo punto non avete voglia di sapere cos'è un bacio a farfalla forse state ancora una volta sbagliando blog.

giovedì 2 aprile 2009

L'eleganza del riccio


Giunta finalmente all'ultima pagina, il fatto che questo libro sia un best seller mondiale destinato a diventare un long seller, resta per me una cosa inspiegabile. Almeno in parte. Niente da dire sul linguaggio della Barbery, sullo stile, sull'alternanza delle due voci narranti (che avevo già apprezzato in "La bambina che scriveva storie"), sulle descrizioni quasi filmiche degli ambienti. E assolutamente godibili le protagoniste, Renèe, che nasconde dietro lo stereotipo della portinaia sciatta, scontrosa e teledipendente un'animo raffinato e un infinito sapere e Paloma, dodicenne aspirante suicida anche lei impegnata a nascondere al mondo la sua genialità dietro la facciata della preadolescente mediocre. E ancora l'amica manuela, cameriera dall'animo aristocratico e iI giapponese, unico a saper guardare "oltre". Tutti questi ingredienti, possono fare un bel libro, un ottimo libro, ma non un libro che ti cambia la vita. Specie se sono controbilanciati da infinite dissertazioni filosofiche perlopiù incomprensibili, almeno a una prima lettura, e non sempre brillanti. Allora deve esserci sicuramente qualcosa in più. Dev'essere un altro il motivo per il quale questo libro si è scavato una specie di corsia preferenziale nel sentire della gente. Una delle parole chiave può essere "nascondersi", ma analizzarla sarebbe troppo lungo e complicato. Certo è che nel mio di sentire, L'eleganza del riccio, se n'è stato buono nella corsia più trafficata. Sarà perchè ho un certo numero di amici abbastanza interessanti da non "farmi rimpiangere di avere come amico la portinaia o la bambina o il giapponese" (e uno di questi è l'ingrato autore della citazione:-); sarà perchè non perdono all'autrice di non essersi fermata a pagina 308; sarà perchè passo la vita a cercare di sembrare più intelligente e brillante di quello che sono, quindi in fondo in fondo la portinaia e la ragazzina mi stanno pure un po' antipatiche.

martedì 17 marzo 2009

Wrong but Wromantic

Emma Woodhouse "Always wrong (but wromantic)" è il risultato he ho ottenuto nel quiz "Which Jane Austen Character Are You?" uno di quei quiz nei quali la risposta che uno vorrebbe dare non fa mai parte del ventaglio di quelle proposte, per quanto ampio sia questo ventaglio. Si finisce dunque per scegliere la meno peggio o magari si cerca di pilotare il quiz dando le risposte che ci sembra possano portare al risultato che vorremmo ottenere, cosa che naturalmente non succede mai. Perchè lo hai fatto dunque? Vi chiederete voi... Beh, se fossi stata in grado di resistere alla tentazione di fare un test su questo argomento, non starei scrivendo in questo blog. Comunque una volta incassato il colpo di non essere Elisabeth Bennet (cosa sulla quale nutrivo in verità qualche sospetto), la mia attenzione è stata subito attirata dalla definizione che veniva data di Emma. "Wrong but Wromantic", cioè "non ne azzecca una, ma è così romantica!" Sull'origine del termine "wromantic" non si trova molto in rete, ma suppongo che quella "w" iniziale serva a fare in modo che le due parole inizino con lo stesso nesso "wro", rafforzando l'espressione in contrapposizione a "right but repulsive", nelle quali l'allitterazione è molto meno forte (le posso pure sparare grosse, tanto dubito di avere dei linguisti tra i lettori del blog;-)
A prescindere dall'origine dell'espressione wbw è sicuramente una definizione che si addice perfettamente non solo a Emma, ma molte delle "nostre" eroine. Pensate per esempio alle deliziose protagoniste dei libri della Bertola, o anche a Bridget Jones o Becky Bloomwood di I love shopping (anche se a dire il vero per queste ultime l'ago della bilancia pende un po' di più sul wrong che sul wromantic). Ma soprattutto pensiamo alle eroine di Georgette Heyer, l'adorabile duchessa di Avon sopra tutte. Ecco quello che dice a quest'ultima il cognato Rupert (che manco a dirlo stravede per lei) alla fine de La pedina scambiata.
"(...) Dovrete emendarvi fuoco d'artificio (...) Dignità, questo dovrete avere! Vi lascerete crescere i capelli e mi parlerete con garbo. Sarebbe bella che avessi una cognata che va dicendo a tutti i miei amici che sono un imbecille! Cortesia, signora, e un po' dell'alterigia di vostro marito! Questo dovrete avere , non è così, Fan?"
"Ah, bah!" disse la duchessa di Avon.
Passando al cinema la prima che mi viene in mente è Kate (Meg Ryan) in French Kiss, mentre la tv, solitamente avara di cose che siano veramente godibili, ci ha regalato recentemente la spassosissima e very very wbw Monica di Tutti pazzi per amore.
E infine torniamo da dove siamo partiti, ossia il quiz: che in questo caso ci abbia preso almeno in parte? Non credo di essere molto simile ad Emma, ma di sicuro diverse persone a me vicine sarebbero pronte a conferirmi l'attestato di wrong but wromantic. Naturalmente, nel mio caso, eviteremo accuratamente di specificare da quale parte pende l'ago della bilancia.


martedì 10 febbraio 2009

Colazione da Starbucks


Eccomi finalmente con una recensione vera e propria. Ed eccoci finalmente un libro che ci riporta "on topic" (sarà questo il contrario di off topic?). C'è tutto quello che ci serve nel libro di Laura Fitzgerald: una bella storia d'amore, un lieto fine, un bel protagonista maschile (anche se non è presente quanto ci sarebbe piaciuto) e degli amici strampalati. Ma c'è anche dell'altro. Infatti anche se il tono è leggero e ironico, il romanzo affronta un tema tutt'altro che leggero come le condizioni di vita delle donne iraniane, che dai 9 anni in poi sono costrette a rinunciare a i loro diritti e ai loro sogni e ad accettare passivamente quello che la società impone loro.
Tami, la protagonista riceve in regalo dal padre il giorno del suo ventisettesimo compleanno un un biglietto per l'America
e i viaggio da Teheran a Tucson è per lei un viaggio verso la libertà. Libertà che avrà però durata breve come i tre mesi del suo visto, se nel frattempo non otterrà l'agognata green card grazie al matrimonio con un cittadino americano.
Da una parte assistiamo dunque ai tentativi di combinare un matrimonio con un buon partito persiano, grazie soprattutto all'"aiuto" della sorella Maryha che le propone a dire il vero un candidato piuttosto particolare che non suscita per niente l'approvazione del marito Ardishir (bel personaggio che ci impedisce di cedere allo stereotipo dell'iraniano prevaricatore), o alle trovate originali dell'amica Eva. Dall'altra scopriamo insieme a Tami un mondo di piccole libertà da scoprire ogni giorno, come partecipare a un pigiama party con le amiche del corso di inglese o indossare della biancheria di Victoria's Secret. O bere un the freddo al mango da Starbucks. Magari offerto da un bel barista di nome Ike.
Combinare un matrimoni si rivela però piuttosto complicato e sembra proprio che il rientro in patria sia inevitabile quando ecco che giunge a salvare la nostra eroina un bel principe azzurro... I principi azzurri, lo sappiamo bene, a volte impugnano una spada, a volte un ombrello, ma può anche capitare che "impugnino" uno shaker.
Il lieto fine è dunque assicurato, almeno per Tami. Per l'Iran, per le donne iraniane, sembra ci sia ancora molta strada da fare.

martedì 20 gennaio 2009

Our Local Hero


Cerchiamo di vedere la cosa da un punto di vista strettamente “pemberliano”. Forse il “cattivo carattere”, l’eccessivo orgoglio, la rigidità e la ruvidezza di Mr. Darcy ci hanno impedito di amarlo alla follia? Forse il suo “decisionismo” ci ha dato fastidio, quando per esempio si fa carico della situazione in seguito alla fuga di Lidia con Wickham? O ce lo ha reso ancora più caro? O forse non abbiamo amato la severa compostezza (rigidezza?) e il comportamento autoritario del duca di Avon (La pedina scambiata, Georgette Heyer)? O i modi gelidi e a tratti “dispotici” (almeno agli occhi dei suoi pupilli) e il forte sarcasmo del conte di Worth (Il Dandy della reggenza, Georgette Heyer)? Perché insomma, diciamocelo chiaramente care pemberlyane, cosa c’è di meglio nei momenti di difficoltà di qualcuno che assuma il controllo della situazione e decida per noi cosa sia giusto o meglio fare? Certo la parola chiave è “giusto”, ma una volta che riconosciamo ai nostri eroi il senso di giustizia, e ovviamente glielo riconosciamo, altrimenti non sarebbero i nostri eroi, il resto va da se. E allora se riconosco a Renato Soru il senso di giustizia, e glielo riconosco, la volontà di agire per il mio bene, e gli riconosco pure quella, come gli riconosco quanto gli è cara la sua e mia Sardegna, perché quelle stesse caratteristiche che amo negli eroi dei “miei” romanzi, dovrebbero diventare in lui caratteristiche negative? Perché se per una volta un “eroe” esce dalle pagine non dovrei accoglierlo a braccia aperte? Dovrei forse preferirgli un Mr. Collins qualunque, senza nemmeno la sua pur involontaria ironia? No, grazie, meglio Mr. Darcy. Meglio Soru.

giovedì 1 gennaio 2009

Buon anno!

A chi ha già il suo lieto fine,
a chi ancora lo sta aspettando,
a chi si è stancato di aspettare con la mente ma non col cuore,
a chi si è stancato anche col cuore,
a chi rischia di lasciarselo sfuggire,
a chi ne vive tanti quotidianamente, ma non sempre se ne accorge.
Perchè in fondo un lieto fine è un fermo immagine. Dipende solo dal momento in cui decidi di fermare la storia.