Non è l'ennesimo blog su Jane Austen... almeno non solo. E' uno spazio in cui si parla di libri, sopratutto di libri d'amore. Regency romance, ma anche chick lit e mummy lit per usare le più recenti definizioni sul genere. Caratteristiche fondamentali: happy end e sottile ironia. Capito il genere? Piace anche a voi? E allora, forza, alzi la mano chi di voi non ha, almeno per una volta sognato Pemberley. (Vai al primo post...)

martedì 19 maggio 2009

Esco presto la mattina


Quando ho accettato la proposta di alcuni amici di creare un gruppo di lettura su facebook ero in realtà un po' dubbiosa all'idea di dedicare parte del poco tempo che ho per leggere a libri scelti da altri. Ma appena ho visto il primo libro che era stato proposto ho messo da parte quasi tutti i miei dubbi: mi sembrava proprio un libro che avrei potuto scegliere anche io e pergiunta adatto ad essere recensito sul blog. Vedevo in questo Cacciapuoti una sorta di Mike Gayle italiano o anche meglio e credevo/speravo di ripetere l'esperienza di Non avevo capito niente di Diego Da Silva. Ho quindi pagato senza troppe recriminazioni i 18,00 euro del prezzo e mi sono tuffata nel libro non senza aver dato la solita sbirciatina all'ultima pagina che sembrava confermare le mie previsioni. Mi sono bastate pochissime pagine per capire che in quel libro non avrei trovato niente di quello che mi ero aspettata: niente personaggi interessanti, nessuna storia godibile e anche l'happy ending è assolutamente tirato per i capelli, affidato com'è al fatto che il figlio del protagonista decida di venire al mondo in anticipo sulla data presunta del parto. Una "godibile satira" viene definito nella quarta di copertina, ma descrivere un regista demente non vuol dire fare satira sul cinema. E lo stesso dicasi per la descrizione di certi ambienti politici. Ma forse l'ho letto con occhio troppo Pemberlyano e certe cose a noi Pemberlyane proprio non vanno giù...

venerdì 10 aprile 2009

Amore in minuscolo


Se l'avessi soltanto visto negli scaffali delle librerie e/o biblioteche probabilmente non avrei mai deciso di leggere L'ombra del vento di Carlos Ruiz Zafòn. Nemmeno se ne avessi letto prima le recensioni entusiaste che ho letto dopo aver finito il libro. Decisi di leggerlo, acquistandone un'edizione non economica perchè non avevo la pazienza di aspettare il mio turno in biblioteca, perchè diverse persone che mi conoscevano abbastanza bene si dicevano certe che fosse un libro per me. A distanza di anni questa affermazione mi lascia ancora perplessa. Il libro mi è piaciuto davvero. Una storia originale, assolutamente ben scritta. Forse doveva "piacermi assolutamente" perchè è un libro che parla di libri. Ma in che modo un romanzo gotico che a tratti richiama il fuilleton, pieno di infanzie difficili, amori fatali e famiglie distrutte possa essere "proprio il libro per te" davvero me lo devono spiegare. Ma forse il libro doveva passare attraverso me per giungere ad altri, visto che dopo averlo letto l'ho passato ad alcuni amici che ancora mi ringraziano. Nessuno mi ha consigliato invece di leggere Amore in minuscolo di Francesc Miralles, ma se mi avessero detto che è un libro "per me" non avrebbero sbagliato di molto. L'autore è sempre spagnolo e anche questo libro parla di libri, di personaggi misteriosi e di incontri fatali (nel senso, questa volta, di "voluti dal fato"). Ma le similitudini finiscono qui. L'ombra del vento sta infatti a Amore in minuscolo come una cattedrale gotica sta a una chiesetta di campagna. Perchè il libro di Francesc de Mirelles è un libro "in minuscolo", che parla di piccoli gesti che scatenano conseguenze imprevedibili, di incredibili "coincidenze", della magia del quotidiano. Il protagonista è Samuel, solitario professore trentenne con la passione per le citazioni letterarie e per i termini intraducibili, e con il cuore segnato da un bacio a farfalla che ricevette da bambino sotto una scala.
Un piccolo gesto di amore in minuscolo come dare un piattino di latte a un gatto randagio avrà per Samuel una serie di conseguenze che lo porteranno a stringere insolite amicizie e a ritrovare la magia di una bacio a farfalla. E se a questo punto non avete voglia di sapere cos'è un bacio a farfalla forse state ancora una volta sbagliando blog.

giovedì 2 aprile 2009

L'eleganza del riccio


Giunta finalmente all'ultima pagina, il fatto che questo libro sia un best seller mondiale destinato a diventare un long seller, resta per me una cosa inspiegabile. Almeno in parte. Niente da dire sul linguaggio della Barbery, sullo stile, sull'alternanza delle due voci narranti (che avevo già apprezzato in "La bambina che scriveva storie"), sulle descrizioni quasi filmiche degli ambienti. E assolutamente godibili le protagoniste, Renèe, che nasconde dietro lo stereotipo della portinaia sciatta, scontrosa e teledipendente un'animo raffinato e un infinito sapere e Paloma, dodicenne aspirante suicida anche lei impegnata a nascondere al mondo la sua genialità dietro la facciata della preadolescente mediocre. E ancora l'amica manuela, cameriera dall'animo aristocratico e iI giapponese, unico a saper guardare "oltre". Tutti questi ingredienti, possono fare un bel libro, un ottimo libro, ma non un libro che ti cambia la vita. Specie se sono controbilanciati da infinite dissertazioni filosofiche perlopiù incomprensibili, almeno a una prima lettura, e non sempre brillanti. Allora deve esserci sicuramente qualcosa in più. Dev'essere un altro il motivo per il quale questo libro si è scavato una specie di corsia preferenziale nel sentire della gente. Una delle parole chiave può essere "nascondersi", ma analizzarla sarebbe troppo lungo e complicato. Certo è che nel mio di sentire, L'eleganza del riccio, se n'è stato buono nella corsia più trafficata. Sarà perchè ho un certo numero di amici abbastanza interessanti da non "farmi rimpiangere di avere come amico la portinaia o la bambina o il giapponese" (e uno di questi è l'ingrato autore della citazione:-); sarà perchè non perdono all'autrice di non essersi fermata a pagina 308; sarà perchè passo la vita a cercare di sembrare più intelligente e brillante di quello che sono, quindi in fondo in fondo la portinaia e la ragazzina mi stanno pure un po' antipatiche.

martedì 17 marzo 2009

Wrong but Wromantic

Emma Woodhouse "Always wrong (but wromantic)" è il risultato he ho ottenuto nel quiz "Which Jane Austen Character Are You?" uno di quei quiz nei quali la risposta che uno vorrebbe dare non fa mai parte del ventaglio di quelle proposte, per quanto ampio sia questo ventaglio. Si finisce dunque per scegliere la meno peggio o magari si cerca di pilotare il quiz dando le risposte che ci sembra possano portare al risultato che vorremmo ottenere, cosa che naturalmente non succede mai. Perchè lo hai fatto dunque? Vi chiederete voi... Beh, se fossi stata in grado di resistere alla tentazione di fare un test su questo argomento, non starei scrivendo in questo blog. Comunque una volta incassato il colpo di non essere Elisabeth Bennet (cosa sulla quale nutrivo in verità qualche sospetto), la mia attenzione è stata subito attirata dalla definizione che veniva data di Emma. "Wrong but Wromantic", cioè "non ne azzecca una, ma è così romantica!" Sull'origine del termine "wromantic" non si trova molto in rete, ma suppongo che quella "w" iniziale serva a fare in modo che le due parole inizino con lo stesso nesso "wro", rafforzando l'espressione in contrapposizione a "right but repulsive", nelle quali l'allitterazione è molto meno forte (le posso pure sparare grosse, tanto dubito di avere dei linguisti tra i lettori del blog;-)
A prescindere dall'origine dell'espressione wbw è sicuramente una definizione che si addice perfettamente non solo a Emma, ma molte delle "nostre" eroine. Pensate per esempio alle deliziose protagoniste dei libri della Bertola, o anche a Bridget Jones o Becky Bloomwood di I love shopping (anche se a dire il vero per queste ultime l'ago della bilancia pende un po' di più sul wrong che sul wromantic). Ma soprattutto pensiamo alle eroine di Georgette Heyer, l'adorabile duchessa di Avon sopra tutte. Ecco quello che dice a quest'ultima il cognato Rupert (che manco a dirlo stravede per lei) alla fine de La pedina scambiata.
"(...) Dovrete emendarvi fuoco d'artificio (...) Dignità, questo dovrete avere! Vi lascerete crescere i capelli e mi parlerete con garbo. Sarebbe bella che avessi una cognata che va dicendo a tutti i miei amici che sono un imbecille! Cortesia, signora, e un po' dell'alterigia di vostro marito! Questo dovrete avere , non è così, Fan?"
"Ah, bah!" disse la duchessa di Avon.
Passando al cinema la prima che mi viene in mente è Kate (Meg Ryan) in French Kiss, mentre la tv, solitamente avara di cose che siano veramente godibili, ci ha regalato recentemente la spassosissima e very very wbw Monica di Tutti pazzi per amore.
E infine torniamo da dove siamo partiti, ossia il quiz: che in questo caso ci abbia preso almeno in parte? Non credo di essere molto simile ad Emma, ma di sicuro diverse persone a me vicine sarebbero pronte a conferirmi l'attestato di wrong but wromantic. Naturalmente, nel mio caso, eviteremo accuratamente di specificare da quale parte pende l'ago della bilancia.


martedì 10 febbraio 2009

Colazione da Starbucks


Eccomi finalmente con una recensione vera e propria. Ed eccoci finalmente un libro che ci riporta "on topic" (sarà questo il contrario di off topic?). C'è tutto quello che ci serve nel libro di Laura Fitzgerald: una bella storia d'amore, un lieto fine, un bel protagonista maschile (anche se non è presente quanto ci sarebbe piaciuto) e degli amici strampalati. Ma c'è anche dell'altro. Infatti anche se il tono è leggero e ironico, il romanzo affronta un tema tutt'altro che leggero come le condizioni di vita delle donne iraniane, che dai 9 anni in poi sono costrette a rinunciare a i loro diritti e ai loro sogni e ad accettare passivamente quello che la società impone loro.
Tami, la protagonista riceve in regalo dal padre il giorno del suo ventisettesimo compleanno un un biglietto per l'America
e i viaggio da Teheran a Tucson è per lei un viaggio verso la libertà. Libertà che avrà però durata breve come i tre mesi del suo visto, se nel frattempo non otterrà l'agognata green card grazie al matrimonio con un cittadino americano.
Da una parte assistiamo dunque ai tentativi di combinare un matrimonio con un buon partito persiano, grazie soprattutto all'"aiuto" della sorella Maryha che le propone a dire il vero un candidato piuttosto particolare che non suscita per niente l'approvazione del marito Ardishir (bel personaggio che ci impedisce di cedere allo stereotipo dell'iraniano prevaricatore), o alle trovate originali dell'amica Eva. Dall'altra scopriamo insieme a Tami un mondo di piccole libertà da scoprire ogni giorno, come partecipare a un pigiama party con le amiche del corso di inglese o indossare della biancheria di Victoria's Secret. O bere un the freddo al mango da Starbucks. Magari offerto da un bel barista di nome Ike.
Combinare un matrimoni si rivela però piuttosto complicato e sembra proprio che il rientro in patria sia inevitabile quando ecco che giunge a salvare la nostra eroina un bel principe azzurro... I principi azzurri, lo sappiamo bene, a volte impugnano una spada, a volte un ombrello, ma può anche capitare che "impugnino" uno shaker.
Il lieto fine è dunque assicurato, almeno per Tami. Per l'Iran, per le donne iraniane, sembra ci sia ancora molta strada da fare.

martedì 20 gennaio 2009

Our Local Hero


Cerchiamo di vedere la cosa da un punto di vista strettamente “pemberliano”. Forse il “cattivo carattere”, l’eccessivo orgoglio, la rigidità e la ruvidezza di Mr. Darcy ci hanno impedito di amarlo alla follia? Forse il suo “decisionismo” ci ha dato fastidio, quando per esempio si fa carico della situazione in seguito alla fuga di Lidia con Wickham? O ce lo ha reso ancora più caro? O forse non abbiamo amato la severa compostezza (rigidezza?) e il comportamento autoritario del duca di Avon (La pedina scambiata, Georgette Heyer)? O i modi gelidi e a tratti “dispotici” (almeno agli occhi dei suoi pupilli) e il forte sarcasmo del conte di Worth (Il Dandy della reggenza, Georgette Heyer)? Perché insomma, diciamocelo chiaramente care pemberlyane, cosa c’è di meglio nei momenti di difficoltà di qualcuno che assuma il controllo della situazione e decida per noi cosa sia giusto o meglio fare? Certo la parola chiave è “giusto”, ma una volta che riconosciamo ai nostri eroi il senso di giustizia, e ovviamente glielo riconosciamo, altrimenti non sarebbero i nostri eroi, il resto va da se. E allora se riconosco a Renato Soru il senso di giustizia, e glielo riconosco, la volontà di agire per il mio bene, e gli riconosco pure quella, come gli riconosco quanto gli è cara la sua e mia Sardegna, perché quelle stesse caratteristiche che amo negli eroi dei “miei” romanzi, dovrebbero diventare in lui caratteristiche negative? Perché se per una volta un “eroe” esce dalle pagine non dovrei accoglierlo a braccia aperte? Dovrei forse preferirgli un Mr. Collins qualunque, senza nemmeno la sua pur involontaria ironia? No, grazie, meglio Mr. Darcy. Meglio Soru.

giovedì 1 gennaio 2009

Buon anno!

A chi ha già il suo lieto fine,
a chi ancora lo sta aspettando,
a chi si è stancato di aspettare con la mente ma non col cuore,
a chi si è stancato anche col cuore,
a chi rischia di lasciarselo sfuggire,
a chi ne vive tanti quotidianamente, ma non sempre se ne accorge.
Perchè in fondo un lieto fine è un fermo immagine. Dipende solo dal momento in cui decidi di fermare la storia.