Non è l'ennesimo blog su Jane Austen... almeno non solo. E' uno spazio in cui si parla di libri, sopratutto di libri d'amore. Regency romance, ma anche chick lit e mummy lit per usare le più recenti definizioni sul genere. Caratteristiche fondamentali: happy end e sottile ironia. Capito il genere? Piace anche a voi? E allora, forza, alzi la mano chi di voi non ha, almeno per una volta sognato Pemberley. (Vai al primo post...)

mercoledì 31 ottobre 2007

Un sorriso nel buio

By Chivalries as tiny,
A Blossom, or a Book,
The seeds of smiles are planted
-Which blossom in the dark
(Da cortesie così minuscole, Un bocciolo, o un libro,
Sono piantati i semi dei sorrisi -Che fioriscono nel buio).
E. Dickinson
Quando stamattina mi sono vista consegnare dalla direttrice della biblioteca nella quale lavoro un pacchetto avvolto nella carta arancione con le scritte azzurre della libreria per ragazzi TutteStorie ho subito pensato ad un regalo per il mio bambino. Invece... sorpresa! "l'ho visto nello scaffale e mi è stato proprio impossibile non prenderlo per te", mi ha detto mentre me lo porgeva. Per te, non per Niccolò... Mentre scartavo il pacchetto tutta emozionata cercavo di immaginare quale libro per ragazzi potesse urlare a gran voce il mio nome... O comunque in qualche modo potesse far pensare a me. Intanto mi ritrovo tra le mani il libro ormai completamente scartato: Polly Shoulman, La ragazza che voleva essere Jane Austen. Diavolo, direbbe il mio amico Ernesto, 100% Sandra. Fuori c'è il sole ma dentro ho un po' di buio e in quel buio è fiorito un sorriso.

giovedì 25 ottobre 2007

Bastardo numero uno


Chiariamo subito una cosa: questo libro è stato per me una grande delusione. A ripensarci bene però, non poteva essere diversamente. Dopo averlo letto mi è venuto in mente un articolo sulla teoria della metafisica della qualità di Robert Pirsig (Lo zen o l'arte della manutenzione della motocicletta) che avevo dovuto leggere per l'esame di letteratura italiana. Secondo Pirsig osserviamo la realtà per capirla, quindi schematizziamo fino a creare un’astrazione. Mentre compiamo questa operazione la realtà però va avanti, supera la nostra rappresentazione e ci costringe a crearci una nuova immagine. A volte però siamo un po' "ottusi" e piuttosto che rivedere la nostra astrazione preferiamo rimuovere il dato incongruente. E' quello che ho fatto io con questo libro. Avevo "deciso" che doveva trattarsi di una dedective story in salsa rosa e che mi sarebbe sicuramente piaciuta (era perfino ambientata nel New Jersey!) e ogni volta che ho letto qualche articolo o recensione che non corrispondesse perfettamente all'idea che mi ero fatta, ho semplicemente rimosso il dato. Così quando finalmente ho letto il libro e ho scoperto che si, si tratta di una dectetive story, ma la salsa tende piuttosto al nero seppia, sono rimasta assai delusa. Che spreco! e pensare che sarebbe bastato coinvolgere la simpatica agente di recupero Stephanie Plum in un' indagine un po' meno pulp e dare più spazio al suo rapporto con l'agente Morelli per rendere più gradevole il libro. D'altra parte di storie noir e pulp sono pieni gli scaffali delle librerie mentre una bella dectetive story che si intrecci con un'altrettanto bella storia d'amore a lieto fine proprio ci manca (su Montalban e Livia ci ho perso le speranze). Ovviamente se mi fosse sfuggito qualcosa sono pronta ad accogliere suggerimenti.

martedì 23 ottobre 2007

Benvenuta Sofia!


In un blog in cui si parla soprattutto di storie d'amore non poteva mancare un post su un lieto evento come la nascita di una piccola principessa (Cagliari, 19 ottobre), giusto coronamento della storia d'amore tra babbo Alessio e mamma Simona. D'altra parte, pensiamoci bene... Lui e Lei... entrambi belli, intelligenti, simpatici e mooooolto fashion .... Lui deciso, ma razionale e pacato e Lei una specie di tornado che farebbe follie per la Kelly Bag di Hermes, magari piena di pannolini: in quale libro della Chick Lit li abbiamo già visti? In ogni caso alla piccola Sofia non possiamo che augurare tanti happy endings quante sono le sfide che la vita le metterà davanti.

giovedì 18 ottobre 2007

La mia idea di pausa

Probabilmente ha ragione mio marito: lavorare in biblioteca tutto il giorno e trascorrere la propria pausa pranzo in libreria non è da persone "normali". Ma la sensazione di poter girovagare liberamente tra gli scaffali di una libreria, senza doversi limitare alla sezione libri-gioco e cartonati (il regno del mio piccolo tiranno) è troppo bella per poterci rinunciare. E fare liberamente una cosa che mi piace tanto fare, ma che solitamente non posso fare, corrisponde perfettamente alla mia idea di "pausa" (tranquilli... 10 minuti per il panino li avevo già ritagliati:-). A dirla tutta tra l'altro la libreria Mondadori del centro commerciale vicino al posto dove lavoro l'avevo sempre snobbata... e forse se ne sono accorti perché oggi hanno piazzato davanti all'ingresso un espositore che sembrerebbe ispirato a questo blog, se non fossi assolutamente certa che a leggerlo sono solo un manipolo di fedeli amici. Nessuno dei quali lavora nella suddetta libreria.... Vero? E comunque tra gli altri titoli c'era anche Piccole confusioni di letto in edizione economica, il libro "di Bruce" (Springsteen n.d.r., leggere il post "Boss lit", please) che avevo promesso a mia sorella. E il marito brontolone si è pure "accattato" il Moleskine 18 mesi. Io invece, pur non avendo trovato il libro che cercavo (A sud ovest di Ferrara, Mirto Gerbato) ho pagato 16,00 euro per il Moleskine e il libro e sono andata via tutta felice, alla faccia di chi sostiene che noi shopaholic amiamo fare acquisti solo per noi stessi.

domenica 14 ottobre 2007

C'era anche Jo?


Di solito, da buona fanatica del lieto fine, amo i libri scontati (e non solo nel prezzo:-). Mi va benissimo la struttura narrativa "tipo" del classico romanzo d'amore che si ritrova spesso anche nei romanzi della Chick Lit: innamoramento - peripezie - unione - elemento di disturbo - rottura - riunione - happy ending . E mi va altrettanto bene la versione ancora più semplice: innamoramento - peripezie - unione - happy ending. C'era anche Jo? di Mike Gayle pur restando nel campo della Lad Lit, come viene ormai definita la risposta maschile alla Chick esce però decisamente fuori da questo schema. E' una storia bella e piena di sentimento scritta con il solito tocco leggero e umoristico ma a tratti molto profonda. E' la storia di Rob, che per stare vicino alla fidanzata Ashley, si trasferisce a Manchester abbandonando Londra e gli amici con i quali sta a meraviglia. Nella nuova città si rende presto conto che farsi nuovi amici non è per niente facile... specie se hai più di trent'anni e lavori a casa da solo. Per Rob è l'inizio di un periodo abbastanza grigio caratterizzato da serate solitarie al pub con una birra come unica compagnia. Fino a che ad una festa non incontra per caso una persona... che diventerà sua amica... amica con la "a" perché questa persona è appunto una donna. In questa storia infatti ci sono Rob e Ashley, ma c'è anche Jo. E Jo in un romanzo più scontato avrebbe potuto rappresentare quell'elemento di disturbo che determina la "rottura"... l'ostacolo che la coppia deve attraversare per la conquista del lieto fine. In questo libro no. In questo libro le storie d'amore diventano due, perché c'è una sola parola per definire l'amore, ma ci sono diversi tipi d'amore. Il sentimento che lega Rob e Jo è quel sentimento borderline fatto di affetto, comunione d'interessi e perchè no? anche attrazione, talmente vicino all'amore che ti fa scegliere un'altra persona come compagna di vita, che per accorgerti della differenza potresti aver bisogno di un termine di paragone. E' la stessa differenza che c'è tra la mente e il cuore secondo Jo. E al cuore, si sa non si comanda... Alla mente si?

venerdì 12 ottobre 2007

Attenuanti culturali (OT "necessario")

Egregio Signor Giudice,
non starò qui a raccontarle quanto ritenga offensiva e ulteriormente lesiva della dignità della vittima una sentenza che in un processo per stupro riconosca all'imputato una qualsiasi attenuante che non sia la provata infermità mentale. Non credo che riuscirei a comunicarle il grado di disgusto che la sua sentenza mi suscita in quanto essere umano in generale e donna in particolare. Proverò però a spiegarle perché sono indignata come sarda e lo farò con la consapevolezza che in questa triste storia la sua visione a dir poco stereotipa dei sardi rappresenta solo il problema numero due. Ahimè non posso raccontarle che in Sardegna non sono esistite e non esistono situazioni in cui le donne sono vittime di uomini violenti. Esistono purtroppo ancora in Sardegna, come nel resto d'Italia e pensi un po' perfino nella Bassa Sassonia. Ma sa qual è la novità? la stragrande e sottolineo stragrande maggioranza dei sardi, esattamente come il resto degli italiani e i tedeschi ritiene quei comportamenti semplicemente a-bo-mi-ne-vo-li. Ma d'altra parte la sua totale e profonda ignoranza della Sardegna e dei sardi è chiara come il sole. Perché altrimenti non sarebbe certo potuto sfuggirle per esempio il fatto che, forse a causa del retaggio di una società matriarcale, la donna sarda non è che si possa considerare proprio sottomessa, anzi è piuttosto consapevole della propria dignità. E la stragrande maggioranza degli uomini sardi il rispetto per quella dignità l'ha succhiato col latte materno, e il pudore che ti fa ritenere semplicemente inconcepibile raccontare una barzelletta sconcia in presenza di una donna, o che fa immediatamente cambiare registro linguistico quando una donna entra al bar, quello si ce l'ha forse nel patrimonio genetico.
Ma forse, usando il suo ripugnante metro di giudizio, anche a lei dovrebbero essere concesse delle attenuanti e ritenere che i pregiudizi su base razziale sui quali si basa la sua sentenza siano parte del contesto culturale nel quale è vissuto.

domenica 7 ottobre 2007

Non è bello ciò che è bello...

Noi biblioatipici (bibliotecari laureati e qualificati dipendenti però da cooperative di servizi esterne e non direttamente dagli enti nei quali lavorano) capita spesso di lavorare in più biblioteche contemporaneamente il che ha i suoi lati positivi e anche quelli negativi. Per fermarci a quelli positivi, lavorare in più biblioteche di pubblica lettura da diretto accesso a una maggiore quantità di libri, e quindi maggiore possibilità di trovarne qualcuno di proprio interesse e non rimanere mai senza letture. Il che per i lettori compulsivi non è niente male. Se poi tu ti dovessi spostare verso biblioteche di dipartimento ultra specialistiche dove è un po’ difficile trovare della letteratura di svago c'è qualche collega premurosa che pensa a te. E allora capita di ritrovarsi sulla scrivania dei libri con un post it giallo sulla copertina e delle semplici annotazioni “per Sandra da Piera”, “per Sandra, non so com’è perché non l’ho ancora letto” oppure “per Sandra, è molto bello”. Questo messaggio in particolare si riferiva a C’era anche Jo di Mike Gayle (che recensirò in seguito). Ed eccoci arrivati al focus del post. Si può definire “molto bello” un romanzo di Mike Gayle o un qualunque romanzo “leggero”? Io non ho dubbi sulla risposta ma anche la persona che ha posto la domanda (un’altra collega) sembrava non averne: assolutamente no. E ha aggiunto che potevamo permetterci di usare simili definizioni solo perché sapevamo entrambe di parlare di un autore che ci piace, ma che se un utente della biblioteca avesse chiesto un parere sul libro e noi avessimo risposto che era “molto bello”, sicuramente l’utente in questione si sarebbe aspettato qualcosa di più. Ora premesso che non voglio assolutamente lanciarmi in una discussione su paradigmi estetici e cose simili, io penso che la bellezza sia qualcosa che ti da una sensazione di benessere e in quanto tale ci sia in essa molto di soggettivo… anche se poi per formazione culturale ogni tanto anche a me viene da ricorrere ai canoni. Comunque ho risposto alla mia collega che se alla signora Xxxxx che mi chiedeva un parere sulle Affinità elettive avessi risposto che era “molto bello”, avrei fatto meglio a scegliere per lei un’edizione in brossura, perché avrei avuto grosse possibilità di vedermelo arrivare in testa il giorno della restituzione.

martedì 2 ottobre 2007

Matrimoni, bugie e appuntamenti

Il titolo originale del romanzo di Leslie Carrol (anagramma, 2006) è Play Dates, letteralmente Appuntamenti di gioco e veramente non si capisce per quali stravaganti scelte editoriali sia stata fatta una simile traduzione: a libro appena finito mi sto ancora chiedendo dove mi sono persa le bugie e se veramente il peso che hanno i matrimoni nel libro, sia tale da farli comparire nel titolo.
Titolo a parte entriamo nel campo della mummy lit con un ironico romanzo a tre voci (quelle di Claire, di sua figlia Zoe e della zia Mia, sorella di Claire) sulla complicatissima vita di una mamma single alle prese con gli impegni quotidiani della figlia e sullo snobbismo di certe mamme dell'alta società newyorkese il cui unico scopo nella vita sembra quello di tenere i figli superimpegnati e loro stesse libere di dedicarsi agli "impegni" sociali. Le prime 210 pagine vanno avanti un po' lente in misura quasi inversamente proporzionale alla velocità delle giornate delle protagoniste densissime di appuntamenti e caratterizzate da una continua corsa contro il tempo. Gradevole e ironica la scrittura, carini i tours a tema sulle location dei film girati a NY, ma la minuziosa descrizione degli impegni scolastici e non di Zoe, mi ha a tratti decisamente annoiata. E tra l'altro non c'era traccia di personaggi maschili papabili per il lieto fine! E' bastato però la consueta sbirciatina alle ultime pagine per darmi la forza di andare avanti ed essere infine ricompensata con due belle storie d'amore e due happy ending questa volta più sospirati che mai. Due al prezzo di uno. Anzi tre, se ci si aggiunge il premio per l'ortografia a Zoe. Valeva la pena sopportare qualche pagina di noia.
E a proposito di happy ending, ecco come li definisce Claire "gli happy ending sono come i maglioni che preferiamo: fanno venire voglia di avvolgercisi dentro e raggomitolarsi come un gatto soddisfatto". Si avvicina l'inverno: cosa possiamo chiedere di meglio?