Non è l'ennesimo blog su Jane Austen... almeno non solo. E' uno spazio in cui si parla di libri, sopratutto di libri d'amore. Regency romance, ma anche chick lit e mummy lit per usare le più recenti definizioni sul genere. Caratteristiche fondamentali: happy end e sottile ironia. Capito il genere? Piace anche a voi? E allora, forza, alzi la mano chi di voi non ha, almeno per una volta sognato Pemberley. (Vai al primo post...)

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sabato 9 ottobre 2010

La libreria del buon romanzo

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Avrei dovuto tenere bene a mente gli insegnamenti di Pennac e ricordarmi che uno degli inviolabili diritti del lettore è quello di non finire il libro. E invece sono andata avanti per circa 400 lunghissime pagine e ora sono qui a chiedermi perché. Perché ho perso tempo con un libro che chiaramente non poteva piacermi. Nel titolo poteva attirarmi il fatto che si parlasse di una libreria, ma quel "buon romanzo" era decisamente troppo snob per una che può "vantare" nel suo curriculum da lettrice insieme alla Divina Commedia e Guerra e Pace anche qualche centinaio di romanzetti Harmony (dei quali non mi vergogno affatto) e due libri di Moccia (dei quali invece mi vergogno profondamente). Ma ho perdonato altre volte la spocchiosità e snob a volte lo sono anche io, per cui mi sarebbe comunque andato bene un libro ambientato nel mondo delle librerie, se la trama non fosse stata così assurda (o quantomeno assurdamente lunga). Ok, l'idea di mettere su una libreria dove si vendano solo buoni romanzi e va bene anche il fatto che questo possa suscitare la reazione di altri librai e degli autori "esclusi", passi anche l'idea del comitato segreto di autori/selezionatori. Ma poi con la segretezza delle procedure l'autrice forza un po' troppo la mano, scivolando quasi verso la spy story, salvo poi fare marcia indietro e semplificare un po' troppo la soluzione finale. Ma c'è la storia d'amore, si potrebbe dire. Ed è pure a lieto fine! Ma questa volta non mi basta a salvare il libro. Anzi, e questo davvero non avrei mai creduto di poterlo dire, specie in questo blog, sembra quasi una forzatura anche quella. Quasi che l'autrice abbia fatto innamorare Ivan della ragazza solo per avere una voce narrante. Sa un po' troppo di artificio letterario insomma. E a questo si aggiunge il fatto che il libraio in quanto a punteggio nella scala di valutazione darcyana sta veramente in basso... Anzi, ora che ci penso mi fa proprio pensare a un libraio di mia conoscenza. E questo pensiero sarà la mia personale vendetta per 400 pagine di tempo sprecato.

giovedì 13 maggio 2010

L'uso sapiente delle buone maniere


La prima cosa che mi viene in mente che il signor MacCall Smith deve avere un alter ego femminile che se non è Barbara Pym è comunque sua parente stretta. Stessa caratterizzazione di personaggi e ambienti stessa pacatezza che attraversa tutte le pagine: al culmine di un acceso scambio di opinioni al più sgarbato dei partecipanti alla discussione potrebbe al massimo scappare un "accippicchia!" Garbo e buone maniere d'altri tempi sono dunque le parole chiave per questo romanzo che (come quelli di Barbara Pym) si colloca perfettamente nello spazio, in questo caso Edimburgo, ma rimane un po' fuori dal tempo. Gli stessi protagonisti sembrano sfuggire da una precisa caratterizzazione temporale visto che di Isabel Dalhousie sappiamo che non è più giovanissima e che è un bel po' più vecchia del suo fidanzato Jamie, ex di sua nipote, dal quale ha avuto da poco un bambino. Ma di nessuno dei personaggi conosciamo l'età precisa (o è sfuggita solo a me?). A vedere la cosa da un punto di vista strettamente pemberlyano poi, il personaggio maschile rimane un po' troppo offuscato da questa donna matura-ricca-intelligente-affascinante(?)-indipendente al punto che quando le fanno lo sgarbo di destituirla dall'incarico di direttrice della Rivista di Etica Applicata decide di comprarsi la testata. Ok, piacciono anche a noi le donne indipendenti, ma se è un affascinante cavaliere dalla bianca armatura che al posto di una spada brandisce l'ombrello (presente Richard Gere in Pretty Woman?) che decide di comprare il giornale perchè non sopporta che tu sia stata vittima di un torto, è molto più romantico! E a dirla tutta anche come detective non è che la cara Isabelle faccia proprio scintille. Ha un certo intuito, questo è innegabile, ma siamo abituati a ben altro! E tuttavia ci piace lo stesso. E' così politically correct, guida un'auto ecologica quando non può andare a piedi, e si (ci) pone un sacco di problemi di etica. "Piccoli" dilemmi morali però, non quei grandi temi che fanno un po' paura e ai quali non si ha voglia di pensare quando si legge un libro per rilassarsi un po', quando si vuole che la notte sia buona. E se si vuole che la notte (o la giornata, perchè no?) sia buona, cosa c'è di meglio di un po' di leggerezza, tanto garbo e un uso sapiente delle buone maniere?
P.S. Grazie al signore incontrato questa mattina alla rinascente che con le sue buone maniere ha fatto in modo che per me questa iniziasse proprio come una buona giornata.

mercoledì 10 marzo 2010

Le perfezioni provvisorie


Lo confesso: ho un debole per Gianrico Carofiglio. Un forte debole, se mi passate l'ossimoro. Detto in questo modo dovrebbe essere abbastanza chiaro che mi riferisco all'autore, o meglio all'uomo e non ai libri, ma nelle confessioni è meglio essere chiari. D'altra parte, trattandosi di un notevole esemplare d'uomo, credo di essere in buona compagnia: dovrei mettermi in fila insomma. E anche se dubito di riuscire a "fare fuori" anche solo una delle numerose concorrenti, sarebbe carino un derby tutto sardo fra me e Geppi Cucciari, che durante l'intervista da Very Victoria si è onorevolmente e stoicamente trattenuta dal saltargli addosso. Voglio però tranquillizzare subito Geppi e le altre (nonchè mio marito), che non hanno da temere la mia concorrenza più di quanto debba temerla Elizabeth Bennet. L'amore che nutro per il signor Carofiglio si situa infatti in un'altra dimensione. Nella stessa in cui s'incontrano Mr. Darcy e il commissario Montalbano, per intenderci e nella quale la figura dell'autore Carofiglio si con-fonde con quella del protagonista Guido Guerrieri e ti fa desiderare di uscire a cena con Guido che ha la faccia e la voce di Gianrico. E questa volta non si mangia in silenzio come con il commissario. Perchè Guido (Gianrico?) parla di libri (e non solo) in un modo che ti fa venire un'irresistibile voglia di essere suo unico interlocutore, almeno lo spazio di una cena. In questa dimensione ti può capitare anche di identificarti con un'ex prostituta anche se il tuo passato è limpido e irreprensibile e desiderare un happy ending per lei (te?) e l'avvocato. E dai, signor Carofiglio, le ho fatto un sacco di complimenti: ce lo vuole regalare questo lieto fine? Dimenticavo: Le perfezioni provvisorie" è proprio un bel legal thriller all'italiana, ma questo, per noi, è davvero solo un dettaglio.

martedì 23 febbraio 2010

Un giorno da cani (... Ma solo per Petra Indelicado)

Per me non è stato fortunatamente un giorno da cani, ma anzi una piacevolissima giornata in giro per librerie a cercare un libro che avrei tanto voluto regalare al mio amico Ernesto che è diventato papà. Giro infruttuoso purtroppo, ma anche istruttivo da un certo punto di vista. Mi viene in mente la sera di ferragosto di diversi anni fa, quando in un ristorante non del tutto privo di pretese un amico dopo cena chiese dei profiteroles e si sentì rispondere dal cameriere "profitechèèè"??? Devo aver avuto la stessa faccia quando delle libraie e dei librai non del tutto privi di pretese mi hanno fatto fare lo spelling di "Topipittori", una fra le più interessanti e innovative case editrici specializzate in libri per bambini del panorama nazionale. Ma tant'è.
Torniamo comunque a "Un giorno da cani" confesso: qualche speranza che il libro della Gimenez Bartlett potesse essere un libro Pemberlyano l'ho nutrita. Invece devo confessare che tra me e l'autrice la scintilla proprio non è scoccata. Un po' perchè tutti quei cani mi hanno veramente preso all'anima... e poi... diciamo che, se non proprio antipatica, ho trovato la detective un filino iritante. A prescindere infatti dalle esperienze disastrose che tu possa aver avuto in passato, quando la buona sorte ti mette sulla strada un uomo come Juan Monturiol hai il "dovere morale" (almeno nei confronti delle lettrici di sesso femminile!) di metterti in gioco un pochino di più. Perchè voglio conoscere una e dico una lettrice che possa affermare in tutta onestà di non essere rimasta delusa dal comportamento di Petra.

Comunque nell'insieme il libro non mi è dispiaciuto... diciamo tre stellette di anobii.
Ma pare d'altra parte che ultimamente trovare un libro che non sia deludente, almeno dal "nostro" punto di vista sia cosa piuttosto ardua. A meno che non sostituiamo nel nostro immaginario l'ideale Darcyano di uomo con quello del vampiro assettato di sangue e ci rassegnamo all'idea degli Zombie che invadono Pemberley. No, grazie, per me era buona la prima: per il resto si può aspettare. D'altra parte in compagnia dell'ultimo Carofiglio l'attesa potrebbe non essere così male.

domenica 13 dicembre 2009

Baffi di cacao


Il titolo è assolutamente Pemberlyano, ma le vicende dei protagonisti del romanzo di Lina Dettori sono troppo dolorose perchè questo possa a pieno titolo essere recensito nel blog. Se ho deciso di dedicargli comunque un post è per un motivo semplice ma molto importante: questo libro mi ha riconciliato con la letteratura sarda. E l'assoluta disaffezione agli autori sardi (con qualche rara eccezione) ad una sarda dal cuore prenuragico come la sottoscritta ha sempre creato seri problemi di coscienza. Maggiori di quelli che mi crea il fatto di preferire a culurgiones, porchetto e dolci di mandorle, fajitas de legumbres, tortillas e crema catalana (cosa che mi costringe a periodici riti purificatori e riconciliatori a base di fregola con arselle e sebadas).
E la riconciliazione è stata così profonda che se solo le vicende narrate fossero state un po' meno dolorose avrei potuto iniziare questo post con le parole "Ecco il libro che avrei voluto scrivere io". Una storia che è si radicata nell'ambiente nella quale si dipana, ma nella quale la caratterizzazione di ambienti e personaggi non è mai eccessiva e le concessioni al facile folklore sono del tutto assenti, cosa che non può dirsi di altri autori sardi contemporanei.
C'è poi lo stile. Ridondante e ricercato, ma mai eccessivo, ora ironico e leggero, ora più intenso e commovente, soprattutto quando l'autrice apre la narrazione a "sviluppi impensati con veri e propri colpi d’ala sospesi tra il surreale e il fantastico, capaci in qualche caso di sfiorare il lirismo". E infine, sebbene il libro possa certo essere definito un off topic in un blog sull'happy ending, ti strappa più di una lacrima ma non ti lascia l'architrave di un nuraghe sul cuore. E per ora questo può bastare. Certo, se la signora Dettori volesse magari il prossimo libro...



sabato 19 settembre 2009

La soavissima discordia dell'amore


Chiariamo subito una cosa: a me leggere un libro di Stefania Bertola procura un senso di benessere fisico, oltrechè psicologico, benessere capace di durare ben oltre la fine del libro. E questo vale anche per La soavissima discordia dell'amore... e il fatto che come trama mi sia piaciuto forse un pochino meno degli altri e che avrei preferito forse un finale diverso per almeno tre su quattro delle protagoniste, ha veramente un'importanza relativa. Quello che mi è mancato nell'intreccio l'ho infatti recuperato con gli interessi nella descrizione di situazioni e personaggi, per non parlare del fatto che, se fosse scritto col linguaggio e lo stile della Bertola, leggerei con piacere anche l'opuscolo pubblicitario di una finanziaria o qualsiasi altra cosa illeggibile vi possa venire in mente.
Se è vero che "Bisogna avere il caos dentro di se per generare una stella danzante" (F. Nietzsche), allora le protagoniste della Bertola potrebbero generare galassie intere di stelle danzanti, anche se dubito che il caos che hanno dentro possa essere inteso in senso nietzscheianio (ma piuttosto Pemberlyano!). Sono a volte troppo complicate a volte troppo poco, così poco da essere del tutto prive di subconscio e avere solo dei rudimenti di sistema nervoso, così lineari e poco complicate da essere assolutamente e snervantemente impermeabili al contraddittorio e diventare quindi "ad alto mantenimento" (ricordate Sally in Harry ti presento Sally?) esattamente come le amiche più complicate. Vivono spesso situazioni al limite del surreale, eppure ci sembra di poter dare loro appuntamento per un te, perché in fondo abbiamo la precisa sensazione che in quel gruppo ci staremo benissimo anche noi. Più complicato sarebbe forse trovare una collocazione insieme a tre delle protagoniste nel Tesk (Teatro Elettrico sul Pianeta Crypton), la compagnia di attori dilettanti che si prepara a mettere in scena uno spettacolo di avanguardia spinta “Shakespeare in cucina”, sotto la guida di un irascibile regista calabrese. Ma sarebbe comunque oltremodo divertente assistere alle prove, insieme alla terza protagonista e altri bizzarri personaggi, quali uno psicopata mezzo calmucco, un marchettaro pentito (che finirà col recitare nello spettacolo), una fidanzata ex agente dei nas con aspirazioni aristocratiche ma senso estetico tendente al grottesco. Intorno al Tesk fioriranno, ça va sans dire, nuovi amori rigorosamente a lieto fine, ma davvero questa volta c'è molto di più. Per esempio una grande quantità di citazioni shakespeariane disseminate per tutto il libro, alla faccia di chi pensa ancora che un romanzo leggero non possa essere “un buon libro”. Ma io vi assicuro e “non traggo il mio giudizio dalle stelle” (Shakespeare è così, ti prende la mano...), che questo lo è.

martedì 8 settembre 2009

Caffè Babilonia


Il titolo originale, Pomegranade Soup, Zuppa di Melagrana, il frutto della speranza per i persiani, è denso di significati che nella "traduzione" vanno persi, ma delle discutibili scelte editoriali di certi editori italiani e della loro tendenza all'appiattimento dei titoli credo di aver parlato altrove. Io però quel titolo l'avrei mantenuto per diversi motivi. Perchè sa di buono come molte delle ricette e delle persone descritte nel libro. Perchè è un libro che ti fa credere che ci sia la possibilità di un nuovo inizio anche per chi ha vissuto delle esperienze terribili. Perchè da una di quelle esperienze terribili le protagoniste riescono a salvarsi proprio grazie alla zuppa di melagrana, non più solo simbolo di speranza ma arma per conquistarla: è infatti rovesciando la zuppa addosso al cognato Hossein che Marjan riesce a salvare la sorella Bahar dalla ferocia del marito. Ed è infine la zuppa di melagrana che bolle sui fornelli quando Thomas McGuire, deciso ad impedire alle sorelle Aminpour di conquistare la loro meritata serenità, entra nel Caffè Babilonia armato di cattive intenzioni, che per fortuna gli si rivolteranno contro assicurando alle protagoniste il loro meritato lieto fine. Le protagoniste sono tre sorelle persiane che si trasferiscono in un paesino dell'Irlanda occidentale dove aprono un caffè etnico, il Caffè Babilonia, e si trovano ad affrontare quei conflitti razziali e culturali che purtroppo oggi conosciamo bene e che nel libro vengono trattati con humor e delicatezza.
E a conferma del fatto che si tratta di un libro veramente pemberlyano e non di un ennesimo off topic, c'è la tenerissima storia d'amore tra la minore delle sorelle Amimpour e il figlio del boss del villaggio, che, nonostante la giovanissima età, totalizza un punteggio molto alto nella scala darcyana di valutazione.
Sullo sfondo l'atmosfera di un piccolo villaggio irlandese contaminata dai sapori e dai colori della Persia che le tre sorelle protagoniste portano con loro. E sullo sfondo più lontano si intravvede la drammatica situazione dell'Iran all'epoca del regime khomeinista: sono immagini rapide, ma assolutamente efficaci e crude che risaltano ancora di più per essere incastonate in una storia che per il resto ha toni teneri e lievi. Come la speranza.

martedì 4 agosto 2009

La danza del Gabbiano


Mi duole ammetterlo, ma quando l'ultimo Montalbano è arrivato in libreria non ero, come tutte le altre volte dopo i primi due romanzi della serie, accampata fuori dalla porta ad aspettarlo (ovviamente si fa per dire... ma vi assicuro che non mi sto discostando troppo dalla realtà). Questa volta però ho saputo dell'uscita di La danza del gabbiano solo dopo che alcuni amici l'avevano letto, e solo dopo che le colleghe della biblioteca lo avevano già inserito nell'elenco degli acquisti. Come ciò sia potuto succedere rimane davvero un mistero, perchè anche se non riesco a leggere molto, cerco comunque di essere informata su quanto viene scritto, ma tant'è... questo libro mi si era proprio ammucciato, per dirla con le parole del commissario.
Ovviamente, dal momento in cui ho avuto la notizia, ho fatto di tutto per recuperare il tempo perso, accattandomi il libro (anzi no, non ce n'è stato bisogno di comprarlo perché la mattina stessa è arrivato in biblioteca!) e leggendolo quasi d'un fiato, nonostante la grande stanchezza e il pochissimo tempo a disposizione.
A questo punto dovrebbe seguire la recensione, ma come ben sanno i pochi affezionati lettori del mio blog, Montalbano non si recensisce, si legge e si ama, punto.
Nessuna recensione dunque, ma solo qualche nota al volo. La prima riguarda la discussione fra Montalbano e Augello (il procreatore pentito) sull'omosessualità... credo possa valere più di molti manifesti contro l'omofobia. E che dire del Montalbano televisivo che fa capolino tra le pagine del libro? Geniale. E Livia? Il commissario si dimentica di lei ancora una volta... e almeno questa volta ha una buona scusa... il fatto è che ce la dimentichiamo quasi pure noi! E magari questa volta saremmo riusciti a liberarci definitivamente di lei, se non fosse stato per l'intempestivo intervento di Catarella. Che ne dice, maestro, vogliamo darla una sistematina alla vita sentimentale del commissario? Si potrebbe per esempio far ricomparire Anna (La voce del violino, Tocco d'artista) che, mi pare di ricordare, a Salvo gli faceva sangue assai. Si potrebbe mandare Livia a fare il giro del mondo in barca col cugino e farla innamorare follemente di un albergatore panamense ... Scherzo, ovviamente, ma solo un pochino.

martedì 19 maggio 2009

Esco presto la mattina


Quando ho accettato la proposta di alcuni amici di creare un gruppo di lettura su facebook ero in realtà un po' dubbiosa all'idea di dedicare parte del poco tempo che ho per leggere a libri scelti da altri. Ma appena ho visto il primo libro che era stato proposto ho messo da parte quasi tutti i miei dubbi: mi sembrava proprio un libro che avrei potuto scegliere anche io e pergiunta adatto ad essere recensito sul blog. Vedevo in questo Cacciapuoti una sorta di Mike Gayle italiano o anche meglio e credevo/speravo di ripetere l'esperienza di Non avevo capito niente di Diego Da Silva. Ho quindi pagato senza troppe recriminazioni i 18,00 euro del prezzo e mi sono tuffata nel libro non senza aver dato la solita sbirciatina all'ultima pagina che sembrava confermare le mie previsioni. Mi sono bastate pochissime pagine per capire che in quel libro non avrei trovato niente di quello che mi ero aspettata: niente personaggi interessanti, nessuna storia godibile e anche l'happy ending è assolutamente tirato per i capelli, affidato com'è al fatto che il figlio del protagonista decida di venire al mondo in anticipo sulla data presunta del parto. Una "godibile satira" viene definito nella quarta di copertina, ma descrivere un regista demente non vuol dire fare satira sul cinema. E lo stesso dicasi per la descrizione di certi ambienti politici. Ma forse l'ho letto con occhio troppo Pemberlyano e certe cose a noi Pemberlyane proprio non vanno giù...

venerdì 10 aprile 2009

Amore in minuscolo


Se l'avessi soltanto visto negli scaffali delle librerie e/o biblioteche probabilmente non avrei mai deciso di leggere L'ombra del vento di Carlos Ruiz Zafòn. Nemmeno se ne avessi letto prima le recensioni entusiaste che ho letto dopo aver finito il libro. Decisi di leggerlo, acquistandone un'edizione non economica perchè non avevo la pazienza di aspettare il mio turno in biblioteca, perchè diverse persone che mi conoscevano abbastanza bene si dicevano certe che fosse un libro per me. A distanza di anni questa affermazione mi lascia ancora perplessa. Il libro mi è piaciuto davvero. Una storia originale, assolutamente ben scritta. Forse doveva "piacermi assolutamente" perchè è un libro che parla di libri. Ma in che modo un romanzo gotico che a tratti richiama il fuilleton, pieno di infanzie difficili, amori fatali e famiglie distrutte possa essere "proprio il libro per te" davvero me lo devono spiegare. Ma forse il libro doveva passare attraverso me per giungere ad altri, visto che dopo averlo letto l'ho passato ad alcuni amici che ancora mi ringraziano. Nessuno mi ha consigliato invece di leggere Amore in minuscolo di Francesc Miralles, ma se mi avessero detto che è un libro "per me" non avrebbero sbagliato di molto. L'autore è sempre spagnolo e anche questo libro parla di libri, di personaggi misteriosi e di incontri fatali (nel senso, questa volta, di "voluti dal fato"). Ma le similitudini finiscono qui. L'ombra del vento sta infatti a Amore in minuscolo come una cattedrale gotica sta a una chiesetta di campagna. Perchè il libro di Francesc de Mirelles è un libro "in minuscolo", che parla di piccoli gesti che scatenano conseguenze imprevedibili, di incredibili "coincidenze", della magia del quotidiano. Il protagonista è Samuel, solitario professore trentenne con la passione per le citazioni letterarie e per i termini intraducibili, e con il cuore segnato da un bacio a farfalla che ricevette da bambino sotto una scala.
Un piccolo gesto di amore in minuscolo come dare un piattino di latte a un gatto randagio avrà per Samuel una serie di conseguenze che lo porteranno a stringere insolite amicizie e a ritrovare la magia di una bacio a farfalla. E se a questo punto non avete voglia di sapere cos'è un bacio a farfalla forse state ancora una volta sbagliando blog.

giovedì 2 aprile 2009

L'eleganza del riccio


Giunta finalmente all'ultima pagina, il fatto che questo libro sia un best seller mondiale destinato a diventare un long seller, resta per me una cosa inspiegabile. Almeno in parte. Niente da dire sul linguaggio della Barbery, sullo stile, sull'alternanza delle due voci narranti (che avevo già apprezzato in "La bambina che scriveva storie"), sulle descrizioni quasi filmiche degli ambienti. E assolutamente godibili le protagoniste, Renèe, che nasconde dietro lo stereotipo della portinaia sciatta, scontrosa e teledipendente un'animo raffinato e un infinito sapere e Paloma, dodicenne aspirante suicida anche lei impegnata a nascondere al mondo la sua genialità dietro la facciata della preadolescente mediocre. E ancora l'amica manuela, cameriera dall'animo aristocratico e iI giapponese, unico a saper guardare "oltre". Tutti questi ingredienti, possono fare un bel libro, un ottimo libro, ma non un libro che ti cambia la vita. Specie se sono controbilanciati da infinite dissertazioni filosofiche perlopiù incomprensibili, almeno a una prima lettura, e non sempre brillanti. Allora deve esserci sicuramente qualcosa in più. Dev'essere un altro il motivo per il quale questo libro si è scavato una specie di corsia preferenziale nel sentire della gente. Una delle parole chiave può essere "nascondersi", ma analizzarla sarebbe troppo lungo e complicato. Certo è che nel mio di sentire, L'eleganza del riccio, se n'è stato buono nella corsia più trafficata. Sarà perchè ho un certo numero di amici abbastanza interessanti da non "farmi rimpiangere di avere come amico la portinaia o la bambina o il giapponese" (e uno di questi è l'ingrato autore della citazione:-); sarà perchè non perdono all'autrice di non essersi fermata a pagina 308; sarà perchè passo la vita a cercare di sembrare più intelligente e brillante di quello che sono, quindi in fondo in fondo la portinaia e la ragazzina mi stanno pure un po' antipatiche.

martedì 10 febbraio 2009

Colazione da Starbucks


Eccomi finalmente con una recensione vera e propria. Ed eccoci finalmente un libro che ci riporta "on topic" (sarà questo il contrario di off topic?). C'è tutto quello che ci serve nel libro di Laura Fitzgerald: una bella storia d'amore, un lieto fine, un bel protagonista maschile (anche se non è presente quanto ci sarebbe piaciuto) e degli amici strampalati. Ma c'è anche dell'altro. Infatti anche se il tono è leggero e ironico, il romanzo affronta un tema tutt'altro che leggero come le condizioni di vita delle donne iraniane, che dai 9 anni in poi sono costrette a rinunciare a i loro diritti e ai loro sogni e ad accettare passivamente quello che la società impone loro.
Tami, la protagonista riceve in regalo dal padre il giorno del suo ventisettesimo compleanno un un biglietto per l'America
e i viaggio da Teheran a Tucson è per lei un viaggio verso la libertà. Libertà che avrà però durata breve come i tre mesi del suo visto, se nel frattempo non otterrà l'agognata green card grazie al matrimonio con un cittadino americano.
Da una parte assistiamo dunque ai tentativi di combinare un matrimonio con un buon partito persiano, grazie soprattutto all'"aiuto" della sorella Maryha che le propone a dire il vero un candidato piuttosto particolare che non suscita per niente l'approvazione del marito Ardishir (bel personaggio che ci impedisce di cedere allo stereotipo dell'iraniano prevaricatore), o alle trovate originali dell'amica Eva. Dall'altra scopriamo insieme a Tami un mondo di piccole libertà da scoprire ogni giorno, come partecipare a un pigiama party con le amiche del corso di inglese o indossare della biancheria di Victoria's Secret. O bere un the freddo al mango da Starbucks. Magari offerto da un bel barista di nome Ike.
Combinare un matrimoni si rivela però piuttosto complicato e sembra proprio che il rientro in patria sia inevitabile quando ecco che giunge a salvare la nostra eroina un bel principe azzurro... I principi azzurri, lo sappiamo bene, a volte impugnano una spada, a volte un ombrello, ma può anche capitare che "impugnino" uno shaker.
Il lieto fine è dunque assicurato, almeno per Tami. Per l'Iran, per le donne iraniane, sembra ci sia ancora molta strada da fare.

giovedì 27 novembre 2008

L'età del dubbio


I pochi affezionati lettori di questo blog sapevano certo che il tempo per l'ultimo Montalbano l'avrei trovato per forza, a costo di finirlo tutto con Giaime attaccato al seno. E come vedete non vi ho delusi. Come già detto per Il campo del vasaio, la curiosa forma di miopia affettiva di cui soffro mi impedisce di scrivere una recensione obbiettiva de libro, per cui non lo recensirò ma mi limiterò ad alcune considerazioni. La prima d'obbligo è quella più seria e riguarda l'oggetto dell'indagine che impegna il nostro commissario, ossia il traffico di diamanti "insanguinati" provenienti cioè da zone di conflitto e i cui proventi servono all'acquisto delle armi e dell'equipaggiamento militare che alimentano queste guerre, combattute spesso da bambini soldato. Ancora una volta dunque il signor Camilleri da prova di grande sensibilità verso il problema del rispetto della dignità umana, usando la sua arte non solo per dilettare i suoi lettori, ma anche per renderli consapevoli di gravi problemi come quello dei diamanti di provenienza illecita e dei passi che si possono fare verso una possibile soluzione, come in questo caso il Kimberly Process. Passando invece a considerazioni più leggere, avrei qualche rimprovero da muovere al "papà" del commissario. La prima è che fa cadere in tentazione Montalbano un po' troppo spesso. E questa volta per levarlo dagli impicci fa addirittura morire l'oggetto della tentazione. Ma non esistevano altre soluzioni? Per esempio mandare definitivamente a quel paese Livia? Anche perchè mi pare tenda a descriverla sempre più "camurriosa", tanto da farci temere una sua telefonata ancora più di quanto la tema il commissario. E d'altra parte non so più da quando non fa avere a Montalbano un pensiero di tenerezza nei confronti della sua zita. E che dire dell'assoluta mancanza di scrupoli con la quale Salvo, ai fini dell'indagine, sia chiaro, spedisce il suo vice nonchè carissimo amico dritto dritto nel letto di un'attraente signora? E Beba??? E Salvuccio????? E no, Maestro, ce lo deve proprio promettere: nel prossimo romanzo vogliamo un commissario meno propenso a mandare la coscienza in standby e vogliamo per lui finalmente un happy ending come piace a noi. Se questo debba o meno comprendere Livia, lo lasciamo decidere a lei, a noi a questo punto sembra però piuttosto improbabile.

lunedì 20 ottobre 2008

A spasso con Jennifer


Credo sia la prima volta in assoluto che mi capita di abbandonare un libro dopo oltre la metà delle pagine, circa (334 in tutto). Ma proprio non era possibile andare avanti. E si che ci ho provato perché la fine sembra veramente carina (e già, come al solito ho sbirciato). Va bene che un po' me la sono andata a cercare, perseverando con la mummy lit... come se non mi bastasse la mia mummy life. Ma pensavo di trovare qualcosa di più di pappe, pannolini, scarpe da allacciare e carriere da rimpiangere. "Un gruppo di amiche folli e indispensabili" come recita, per esempio, la citazione da Donna Moderna sulla quarta di copertina, delle quali fino a circa metà del libro non c'è traccia o quasi. Una figura maschile un po' più ... un po' "più". Punto. Anche se a dire il vero Thom, il marito, è bello, interessante, di successo, ma super impegnato e quindi praticamente assente per la maggior parte del tempo da casa e dalle pagine del libro. In compenso c'è un ex fidanzato che ritorna, ma se volete sapere cosa succede a questo punto dovete leggere il libro, perché io non ho assolutamente intenzione di finirlo. Per il momento, quando metto a letto le mie piccole pesti se ho abbastanza forze da aprire un libro voglio glamour e romanticismo e se ci devono essere delle mamme, a sentirsi felici e soddisfatte devono impiegarci molto meno della metà delle pagine.



giovedì 8 maggio 2008

In sospeso


A volte mi capita di utilizzare titoli, incipit o capoversi di pagine prese a caso come il gioco della magica palla 8, per fare delle domande ed avere delle risposte, delle profezie. Per questo libro non l’ho fatto, ma di sicuro il titolo è stato profetico. Ho iniziato a leggerlo lo scorso autunno appena arrivato in biblioteca convinta che mi sarebbe piaciuto, ma l’ho messo da parte quasi subito perché una triste vicenda narrata nel libro mi ricordava troppo una triste vicenda che stavo vivendo in quel momento. L’ho tenuto “in sospeso” appunto. Fino allo scorso febbraio quando l’ho incontrato per caso in un altro libro, A sud ovest di Ferrara (vedi recensione) e mi è venuta voglia di riprenderlo in mano. L’intuizione iniziale si è rivelata assolutamente giusta. Lo stile e il linguaggio sono proprio quelli che “ci” piacciono, i toni attraversano tutta la gamma che va dalla delicata ironia fino al sarcasmo. Ironia che a momenti si vela di malinconia e cerca di strappare sorrisi con gli occhi umidi, quando i temi affrontati sono seri come la perdita e il rimpianto, ma diventa sarcasmo e sfocia in esilaranti battute specie nei confronti di certi personaggi. Marcus, per esempio, il padrone di casa innamorato di se stesso, uno degli uomini sbagliati per i quali la protagonista Helen sembra avere una predisposizione naturale. Ma c’è anche l’uomo giusto in questa storia e “dopo varie peripezie” (possono mancare nei nostri libri?) ... Il finale è romanticissimo e imperdibile, per cui che ci fate ancora al computer?

mercoledì 16 aprile 2008

Devo comprare un mastino


Se tra i (pochi) lettori di questo blog vi fosse qualcuno che stesse cercando di sistemare un esemplare del cane in oggetto, sia chiaro che comprare un mastino non è un mio proposito, ma semplicemente il titolo di un libro. D'altra parte non saprei davvero cosa fare nemmeno con uno di quei cagnetti che sembrano un incrocio tra cane e topo, figurarsi con un cagnone grosso (anche se è divertente immaginare come reagirebbe il mio cinofobo marito a una proposta di questo tipo). Chi invece sembrerebbe ben decisa ad averne uno è Francesca, la protagonista del libro, già incontrata in Amori a progetto che è appunto il seguito (chiedo scusa, anche a me se c'è un seguito piace leggere i libri nel guisto ordine cronologico, ma quando l'ho letto non sapevo che c'era un precedente) di questo libro. In Amori a progetto Francesca si preparava all'imminente matrimonio mentre in Devo comprare un mastino assistiamo alla nascita della sua storia d'amore con Giovanni. Storia d'amore abbastanza rocambolesca, ma d'altra parte non poteva essere altrimenti con una protagonista come Francesca. Per non parlare poi delle vicende in cui le sue strampalate ma inseparabili amiche ci mettono il carico coinvolgendola in affari improbabili come quello di improvvisarsi tour operator per scorrazzare per la città un pullman di turisti giapponesi facendogli cantare oscene canzoni in dialetto ligure. Lo stile e il linguaggio di Tiziana Merani sono al solito leggeri e ironici, ma nel complesso il libro è ancora più carino e divertente e il protagonista maschile rispetto all'altro libro totalizza un punteggio più alto nella scala Darcyana di valutazione (forse perchè essendo in fase di conquista deve sfoderare maggiore sex appeal). E il mastino? Beh, se davvero volete saperlo dovete leggere il libro, come ho già lascitao intuire, gli aspetti canini non rientrano nelle mie competenze.

martedì 25 marzo 2008

A prova di Baby


Con un biglietto da visita come il delizioso Piccole confusioni di letto (il primo libro recensito in questo blog), Emily Giffin partiva decisamente avvantaggiata. Ma avrebbe potuto comunque deludermi e invece non l'ha fatto. A prova di Baby (PIEMME, 2008) è un altro piccolo capolavoro di Chick Lit, leggero e ironico nei toni, ma a tratti anche molto profondo. Ritroviamo gli stessi personaggi affascinanti simpatici e di successo che abbiamo già visto in Piccole confusioni di letto, le stesse ambientazioni, le stesse atmosfere e altrettanto complicate storie d'amore. In particolare "La" storia d'amore tra i protagonisti Claudia e Ben sembrerebbe non essere complicata affatto, ma anzi rappresentare un'unione assolutamente felice consolidata da interessi comuni e da un'identica visione della vita: la carriera prima di tutto e certo, anche l'amore, ma rigorosamente a due posti; niente "famiglia" che non sia quella d'origine (che già da i suoi bei grattacapi) e quindi niente figli. Tutto bene dunque fino a quando uno dei due non cambia idea. E allora via con separazioni, gelosie, ripensamenti, incomprensioni prima dell'immancabile lieto fine da classico del genere in cui entrambi credono che lui/lei stia per sposare l'altra/altro e quando finalmente uno dei due lo dice, l'altro casca dalle nuvole e mentre contrattacca entrambi cominciano a capire che forse sono stati dei grandi idioti... (avanti, quante volte abbiamo incontrato questo finale, e quante volte ancora vorremmo incontrarlo?) e intorno anche parenti ed amici scivolano verso il loro personale lieto fine, a volte non così "perfetto", ma con qualche compromesso. "Io voglio la favola" diceva Vivienne/Julia Roberts in Pretty Woman. E chi non la vorrebbe? Ma a volte anche noi sognatrici Pemberlyane apprezziamo le "soluzioni" (e perchè no, anche i compromessi) che può offrirti la vita anche senza principi su destrieri e madrine con bacchette magiche.

mercoledì 5 marzo 2008

Il giorno in più


Non posso dire di aver amato moltissimo lo stile di Fabio Volo, non sono entrata perfettamente in sintonia col suo senso dell'umorismo e la storia, pur essendo nel complesso abbastanza appassionante e coinvolgente a tratti mi ha annoiata un pochino. E allora? siamo sul 4 scarso? penserete voi. Affatto. Il voto sarebbe comunque alto. E come potrebbe essere diversamente? Abbiamo un uomo che decide di punto in bianco di volare fino a New York per cercare una donna (o forse un sogno?). Abbiamo una romanticissima storia d'amore che dovrebbe essere solo un magico gioco ma che si rivela molto di più. Che dite? non basta a far salire il voto? e allora sentite il finale. Location: Parigi, Giardini del Lussemburgo (non ci sono mai stata ma devono essere proprio il posto adatto). Giacomo e Michela si sono dati appuntamento qui... ma è un appuntamento di quelli col fiato sospeso... di quelli che non sai se verrà... e hai l'impressione di giocarti tutto. Di quelli che sembra che stia tardando un po' troppo. Di quelli che ormai è troppo tardi non viene. Di quelli che hai il nodo in gola e gli occhi già lucidi e all'improvviso senti una voce...
Be'... magari non basterebbe a far avere al libro una recensione sulle più prestigiose riviste di critica letteraria, ma su questo blog con un finale del genere si parte almeno dall'8.

martedì 19 febbraio 2008

A sud ovest di Ferrara


A dire la verità per essere ospitato di diritto in questo blog al libro di Mirto Gerbato manca un elemento fondamentale: una storia d'amore a lieto fine. Ma noi pemberlyane siamo sportive e soprattutto non ci lasciamo sfuggire con facilità una bella storia. Specie se raccontata con leggerezza e ironia e leggerezza e ironia caratterizzano sicuramente la scrittura di Gerbato. Ironia che lascia spesso il posto al sarcasmo, ma che non è mai caratterizzata dalla ricerca esasperata della battuta ad effetto. L'ironia dei “nostri” libri insomma.
Per Roberto Maranini, il protagonista del libro, ho provato un'istintiva simpatia già dalle prime righe, forse già dalla prima riflessione "I sogni fregano, c'è poco da fare" (alla simpatia per il protagonista corrisponde, ovviamente l'ammirazione per l'autore. Ottimo l'incipit "secco"), ma è a pagina 14 che mi ha conquistato del tutto. E' a questo punto infatti che veniamo a sapere il titolo del libro che tiene sul termosifone vicino al wc (c'è chi li tiene sul comodino...). Avrebbe potuto essere un libro di Nicci French, con una di quelle copertine inquietanti, o qualcosa del genere. Invece no, è In sospeso di Anna Maxted, un libro che potrebbe veramente stare, quello si, a pieno titolo in questo blog e che nell'edizione TEA ha in copertina due piedi di donna che calzano un paio di deliziose ciabattine infradito.
Roberto Maranini dunque legge Anna Maxted, lavora alla Green Energy districandosi ogni giorno tra le scelte aziendali spesso disastrose e l'arrivismo dei colleghi e va in vacanza a Cuba. E l'amore? Ok rinunciare all'amore a lieto fine ma almeno qualche paginetta in salsa rosa ci dev'essere per forza. C'è, c'è... anzi ci sono amori... o "quasi" amori. E le pagine che li riguardano hanno proprio i toni "giusti", tanto da farci rimpiangere che non abbiano più spazio. Ma d'altra parte i toni giusti li hanno anche le altre pagine, quelle nelle quali Gerbato tratteggia con ironia che diventa spesso sarcasmo il carattere dei colleghi o descrive le scelte disastrose della Green Energy. O, sul versante privato quelle della seduta di psicanalisi col fratello Marco (non so perchè, ma l'ho subito immaginato come il fratello di Dannis Quaid in The Big Easy). E comunque, il fatto che non ci sia amore a lieto fine, non vuol dire che il libro abbia un finale triste: arrivato ad essere un “quasi” quadro aziendale Roberto si accorge di non avere poi tutta quella voglia di restare appeso a una parete e rinuncia alla promozione. E di questi tempi, avere il coraggio di una scelta simile è sicuramente un lieto fine. E se scegli di seguire i sogni a occhi aperti e le tue emozioni più autentiche devi essere preparato, ti può anche capitare che appena qualche pagina dopo l'ultima...

A sud ovest di Ferrara
Mirto Gerbato
Milano, Edizioni Melquiades, 2004

martedì 12 febbraio 2008

Mi vendo



L'autrice di questo libro, che si firma Saradisperata è balzata qualche mese fa agli onori della cronaca per avere lanciato sul proprio blog (http://www.trentennedisperata.splinder.com/) la proposta choc di “una notte di sesso in cambio di un posto di lavoro". E ora la sua storia di trentenne stanca dello sfruttamento e delle truffe del precariato lavorativo è diventata un libro autobiografico. Lei è simpatica e in gamba, le sue "pretese" sono sacrosante e le sue "denuncie" assolutamente giuste (e chi può capirla meglio di me: sono stata Co.Co.Pro e ora ho un contratto a tempo indeterminato... ma lavoro per una Cooperativa, per cui il precariato continua), c'è anche una storia d'amore a lieto fine e in più non scrive male. E allora? allora avrei tanto voluto fare una recensione entusiasta, ma il libro in generale non mi ha entusiasmato :-( Semplicemente non è scoccata la scintilla. Forse per la ricerca continua della battuta sarcastica che in genere non riesce a farmi sorridere (ma forse non vuole nemmeno farlo) o chissà per quali altri motivi. Se non ho apprezzato un granchè il senso dell'umorismo di Saradisperata, mi sono però commossa nelle pagine tristi in cui si parla di Ivano, suo amico fraterno. Qui li il suo tocco è davvero leggero e delicato. Ma questo è un blog sul lieto fine: non posso assolutamente consigliare di leggere un libro per le sue pagine tristi! E allora, se avete voglia, leggete il libro perchè alla fne l'amore vero trionfa e per una volta anche il lavoro "vero".